E’ possibile pensare ad un diritto all’abitare effettivo nel Lazio?

Lunedì pomeriggio (1° Marzo), durante l’approvazione in consiglio comunale del "piano casa", si è svolto un presidio organizzato dal cordinamento di lotta per la casa. A sfatare il clima di tensione che si respirava è bastato ricevere una delegazione nelle aule consiliari. Il risultato è stato di leggero ammorbidimento di una posizione che altrimenti sarebbe stata insostenibile: un piano casa risicatissimo dal punto di vista sociale, e incurante delle realtà di occupazione della città, che vivono veramente l’emergenza quotidiana delle persone senza più un tetto sulla testa. Salgono a 6000 gli alloggi Erp da realizzare, e sembra che si riapra un tavolo di trattativa sulle 41 occupazioni presenti in città.

La questione mi da l’opportunità di parlare di questo tema, e di ciò che è attuabile nel prossimo futuro in ottica regionale. (Sicuramente è questo il tipo di campagna elettorale più utile e giusta dal canto mio, non di certo quella sul "caos liste" che ripropone sempre le dinamiche di una politica autoreferenziale e disinteressata ai problemi del popolo.)

Andiamo con ordine. Riassuntivamente, la situazione abitativa romana è in uno stato emergenziale, e non da oggi. Nel terrirorio romano risiedono circa 250.000 stranieri regolari, che incidono per l’8-9% sull’intera popolazione residente romana, con un incremento sistematico rispetto agl’anni precedenti ("Dossier Statistico Immigrazione" Caritas/Migrantes 2006). Il numero di studenti fuori sede è di più di 80.000, anch’esso con una certa incidenza sulle residenze (dato che l’offerta di alloggi studenteshi nel Lazio ammonta appena a 2.000 posti). Negli immobili Erp (Edilizia residenziale pubblica) ci sono circa 65.000 persone, ma ci sono 30.000 famiglie in lista d’attesa, molte delle quali o non hanno un tetto sulla testa o lo stanno perdendo a causa degli sfratti. Ci sono 250.000 famiglie che vivono in affitto e 270.000 immobili che rimangono sfitti (Fonte "Eurispes"). Considerando il recente aumento vertiginoso dei canoni d’affitto, il conseguente aumento di sfratti, il prezzo assurdo all’aquisto degli appartamenti e la conpresente difficoltà ad ottenere mutui e prestiti, ecco che abbiamo un quadro generale, anche se non esaustivo del problema abitativa di questa città.

Gli elementi ulteriori su cui riflettere sono molti: uno di questi è per esempio la pratica c.d. della "securitizazion", attraverso la quale le imprese, per aumentare il loro reddito, hanno creato delle società proprie per gestire il patrimonio immobiliare, tendendo ovviamente all’aumento dei canoni come dei valori immobiliari all’acquisto, e creando effettivamente un vero e proprio "cartello" volto ad accrescere il Capitale (studio del ricercatore di urbanistica della facoltà di Architettura di Roma3, Giovanni Caudo). Da qui l’ovvio e conseguente mercato del credito alimentato da banche e finanziarie per rendere possibile ai "molti" gli acquisti. Su ciò si inserisce la legge 431 del 1998, che liberalizzando i canoni d’affitto li ha fatti salire in modo esponensiale. 

In questo contesto emergenziale (si arriva ad un incidenza del 70% sul reddito di una famiglia da 30.000 euro) si inseriscono le occupazioni romane dei movimenti e del cordinamento di lotta per la casa, che paradossalmente ha, in un certo senso, creato un effetto "puntellamento" dell’emergenza abitativa: grazie al lavoro e al sacrificio di tanti compagni, 41 stabili in disuso sono stati occuati, procurando un tetto sulla testa a quasi 3000 famiglie. Ma, ancora, il problema è fortemente caratterizzato dalla presenza delle etnie Rom; dagli stanziamenti lungo le rive del tevere; dagli immigrati irregolari e di quelli regolari ancora non censiti; ecc.. E’ assolutamnte superflua la considerazione sull’insufficenza delle soluzioni offerte dalla giunta comunale attuale: uno dei sistemi più avanguardistici si sostanzia nel c.d. housing sociale, un metodo che consente la speculazione edilizia su terreni che invece sono sempre stati destinati all’uso pubblico, con la contropartita di una percentuale degli alloggi creati dal nulla da destinare agli aventi diritto, ma a tempo determinato, cioè con la clausola vessatoria di far rientrare dopo circa 20 anni la proprietà degli immobili nelle mani dei costruttori; soluzione che crea una riproposizione ciclica del problema dando caratteri di insormontabilità in una prospettiva di lungo periodo (ma si sa, le giunte comunali non sono eterne…), ma che rende felici i famosissimi palazzinari romani.

Se è il comune l’ente pubblico che prima facie deve intervenire con politiche che in modo diretto influiscono sullo stato quotidinao dell’emergenza, la Regione dal canto suo ha moltissime possibilità di intervento.

Per esempio, attraverso l’Agenzia Territoriale per l’Edilizia Residenziale (ATER) che gestisce il patrimonio pubblico, può svolgere un ruolo attivo nelle dismissioni degli immobili pubblici e privati della nostra regione, che, per i prossimi 4 anni, coinvolgeranno oltre 50.000 nuclei familiari. Anche per questo è necessario riprendere e rilanciare un “programma ordinario”, una vera e propria politica dell’abitare, che privilegi l’affitto rispetto all’acquisto, e che garantisca alloggi a canone sociale, a chi ne ha bisogno, e a canone convenzionato in  relazione al reddito, a chi può accedere a questa tipologia.

L’edilizia residenziale sociale, prevista dalla L. 21/09, dovrà essere gestita prioritariamente dal soggetto pubblico che solo può sostenere un canone adeguato alle fasce di reddito cui deve rivolgersi questa tipologia di edilizia.

Fondamentali sono le pratiche dell’auto-recupero e dell’auto-costruzione, così come descritte nel recentissimo convegno "inventare l’abitare per trasformare la metropoli" tenutosi la settimana scorsa ed organizzato dal Cordinamento Cittadino di lotta per la casa e dalla cooperativa "Inventare l’Abitare" (promotrice di sette interventi di recupero a scopo abitativo), che possono costituire forme nuove ed efficaci che contribuiscono ad una politica della casa che si accompagni alla cultura dell’accoglienza dei “nuovi cittadini” nella nostra Regione.

Ma elemento centrale per i prossimi cinque anni dovrà essere quello di qualificare le funzioni della Regione sia come soggetto erogatore di “servizi primari”, sia come attento regolatore delle “trasformazioni urbanistiche”. Un ritorno all’urbanistica semplificata e caratterizzata da tempi certi, che sia in grado di garantire a tutti i cittadini la certezza del diritto e la possibilità di partecipare alle scelte che riguardano il futuro delle comunità locali. In questo senso le città devono essere considerate “beni comuni” e, come tali, riportate nelle mani del potere pubblico. Abbiamo bisogno di un “welfare regionale” che tuteli e garantisca il diritto dell’abitare unendo insieme misure e provvedimenti (alcuni di competenza della Regione altri da istituire in accordo con le Province e i Comuni), tale da disegnare un sistema normativo di tutele che si estenda dal piano degli affitti a quello delle tariffe degli altri servizi sociali, nel rispetto del principio di solidarietà tra istituzioni e cittadini che deve guidare il futuro governo della Regione, soprattutto oggi per le conseguenze che la crisi economica continuerà a scaricare su migliaia di lavoratrici e lavoratori del Lazio. 

Per andare al pratico, le priorità sono: 

– investire nel recupero urbano e in particolare dei centri storici in cui è prioritario mantenere la residenza popolare, utilizzando ancora meglio di come si è fatto fino ad oggi il Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS) dell’EU destinato al Lazio.

– mantenere le attuali ATER quali organi di diritto pubblico, con potenziamento del ruolo di intervento attivo della Regione nell’edilizia residenziale sovvenzionata e nell’acquisto di immobili dismessi da enti pubblici e da privati e non opzionati dagli inquilini. Inoltr è indispensabile un potenziamento dei fondi per il contratto di servizio con le ATER.

– Occorre mettere in sicurezza gli immobili dal punto di vista del rischio idrogeologico e di quello sismico (scuole ed edifici pubblici).

– Va rilanciato il ruolo del governo pubblico del territorio, mortificato da anni di urbanistica “contrattata”, di condoni e di deregolamentazione di tutele ambientali e del sistema dei controlli pubblici.

– Va incrementata l’edilizia residenziale pubblica partendo dal riutilizzo degli immobili pubblici e delle aree non utilizzate e dismesse. La proposta punta a recuperare prioritariamente il tanto costruito inutilizzato (caserme, scuole, beni demaniali, beni confiscati alla Mafia…) così da non costringere migliaia di famiglie a vivere in case senza città e a portare nuovi abitanti nelle parti di città ormai svuotate per la grande speculazione sulle città del Lazio grandi e piccole, (i centri storici e le zone di città ”consolidata”).

– Bisogna promuovere il censimento del patrimonio abitativo pubblico e allo stesso tempo avviare un censimento del fabbisogno abitativo (richieste di assegnazione inevase, sfratti emessi, domande di contributi per il sostegno all’affitto) e in seguito predisporre un piano pluriennale per rispondere al fabbisogno abitativo regionale, attraverso il coinvolgimento dei comuni, delle aziende di edilizia residenziale pubblica, dei sindacati inquilini, dei comitati e dei movimenti di lotta per il diritto alla casa. 

-Ma come primo atto di governo del prossimo Consiglio regionale questo deve impegnarsi nella definizione di una “proposta di legge sul diritto all’abitare”, recuperando  il contenuto dell’ODG votato dal Consiglio regionale l’11 agosto 2009, e perpetrando i seguenti obbiettivi: accrescere e rendere stabili i finanziamenti già previsti dalla LR n. 21/09 per l’acquisizione, e la costruzione, di abitazioni per chi ha difficoltà ad accedere al mercato, con priorità dell’edilizia di proprietà pubblica rispetto all’edilizia convenzionata, agevolata o di housing sociale privato (si sono costruite poche case popolari e tante case private, che spesso hanno un canone non sopportabile per la fascia media, sono ancora vuote, producendo consumo selvaggio del territorio e peggioramento della qualità della vita, con nuove periferie-dormitorio nei Comuni intorno alla Capitale); utilizzare il patrimonio edilizio pubblico prioritariamente all’uso residenziale e promuovere un intervento fiscale e urbanistico che imponga ai privati l’immissione sul mercato immobiliare delle migliaia di appartamenti sfitti; promuovere l’acquisizione o la realizzazione di 100 mila alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata; imporre a tutti i Comuni l’adeguamento dei propri “strumenti urbanistici generali” prevedendo, anche al fine del calmieramento del mercato immobiliare, una percentuale minima del 30% di edilizia pubblica sovvenzionata sul dimensionamento abitativo complessivo; rivedere i criteri per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica sovvenzionata (dei vari ATER regionali e dei comuni) innalzando il limite di reddito per i richiedenti; costituire un fondo regionale per il sostegno all’affitto (in cui far confluire anche i depositi cauzionali degli inquilini), sia per il pagamento di morosità incolpevoli, sia per la fideiussione al proprietario che affitta a canone convenzionato, a cui possano accedere con procedure veloci le famiglie con reddito basso ed in attesa della casa popolare.

Questo è quanto. Tuttavia occorre sottolineare un passaggio: la problematica abitativa romana costituisce un fenomeno in divenire; è necessario considerare il problema a seconda delle esigenze che ciclicamente emergono anche a causa delle "toppe" messe un po’ li e un po’ qui dai governi locali e nazionali. Quindi non è pensabile una politica efficace ed efficente sull’abitare senza la continua collaborazione delle parti sociali che ogni giorno si occupano del problema: parlo di tutti quei compagni con cui spessissimo mi trovo a lottare e a resistere sia a sgomberi coatti che a persecuizioni personali e politiche perpetrate dalla pubblica autorità attraverso gli orribili strumenti cautelari e misure di sicurezza totalmente volti a togliere di mezzo soggetti socialmente e politicamente "scomodi". E’ a loro che va la mia attenzione politica per la futura risoluzione di ogni tipo di problematica abitativa, oltre che solidarietà attiva nell’opera di sensibilizzazione e crazione di massa critica sulle vertenze che più sono avvertite dalle masse subalterne di questa città. 

 

Francesco Lione

 
 

 

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